sabato 22 luglio 2006

L'informazione spezzata

Mi consolo nel leggere parole che confermano alcune mie impressioni. Non tanto perché mi dicono che non sono l'unico a vederla in quel determinato modo ma perché mi trasmettono un po' di speranza nel sapere che c'è chi, come me, ha un briciolo di occhio critico e non prende tutto per oro colato.

Riporto dunque un articolo tratto da Articolo 21 che espone alcune impressioni sulla situazione italiana dell'Informazione. Credo sia impossibile non notare alcune (passatemi il termine) assonanze con l'Etica di Fiction Mediatica.

E' tutta vostra. Buona lettura.

Una linea di conflitto attraversa l’Italia. Ci sono giornalisti da una parte e giornalisti dall’altra, come nei Tre giorni del Condor. Il conflitto non è quello contro il terrorismo né quello in Iraq o in Afghanistan. E i legami di presunta lealtà e di presunta contrapposizione non si prestano a essere interpretati come pro americani o anti-americani. Per farlo bisognerebbe dire quali americani.

Infatti la spaccatura che sembra traversare l’Italia, e ci rimanda una immagine di faglia strana e misteriosa, si presta a una sola, fortissima analogia, quella con il giornalismo americano.
Il 5 luglio, lo stesso giorno in cui tutti abbiamo saputo dell’arresto di alti funzionari del Sismi e del pedinamento e delle intercettazioni dei due giornalisti di Repubblica D’Avanzo e Bonini, quel quotidiano ha pubblicato un articolo apparso il giorno prima sul New York Times, con la firma congiunta di due direttori (New York Times e Los Angeles Times).
In esso ci sono tre punti chiave. Il primo è: siamo rivali, ma ci unisce il dovere di non oscurare le notizie. Nessun governo può chiederci - o continuare a chiederci - di farlo.
Il secondo è la esemplare citazione del giudice della Corte Suprema statunitense Hugo Black che ha scritto, in difesa di giornalisti accusati di “tradimento” ai tempi del Vietnam: «La nostra Costituzione vieta che il governo censuri la stampa, affinché la stampa sia libera di censurare il governo».
Il terzo è una affermazione almeno altrettanto importante. Noi giornalisti non siamo i titolari di un potere speciale. Il potere risiede nei cittadini, che lo esercitano attraverso il diritto di essere informati.
Dunque i giornalisti che protestano quando si tenta di impedire o intimidire il loro lavoro, non stanno rivendicando l’autonomia di una corporazione e diritti professionali violati.
Rivendicare la libertà di stampa è un impegno sacrosanto. Ma il vero titolare di questo diritto, vale la pena di ripetere, sono i cittadini. È in difesa dei cittadini che vanno difesi i colleghi messi, a quanto pare, sotto una sorveglianza che non ha nulla di democratico.
I cittadini italiani sanno di essere testimoni di una situazione con molte facce, alcune delle quali sono false, molte versioni, alcune delle quali sono inventate, alcune tragedie (la pratica delle “rendition” o rapimenti di presunti nemici sottratti a qualunque garanzia giuridica del nostro mondo e del nostro tempo) e alcuni attori che, in questo film misterioso, forse hanno svolto due o più parti.
Alcuni giornalisti sembrano avere svolto la missione tipica della professione, informare, cercando ogni volta di saperne un po’ di più delle versioni ufficiali.
Altri giornalisti sembrano essersi attribuiti il compito di cancellare le tracce, ripulire le impronte e spostare altrove la narrazione, forse per depistaggio, forse per lealtà a un centro d’influenza diverso dal giornalismo (e dunque lontano dal dovere nei confronti dei cittadini che si fidano delle notizie ricevute). Forse per persuasione politica. È bene ricordare che la vicenda di cui stiamo parlando si ambienta ai nostri giorni, nel periodo di Berlusconi, quando anche le più formali dichiarazioni ufficiali erano false, e in cui è purtroppo naturale che la disinformazione si sia ambientata e sia stata praticata come espressione di lealtà a quel tipo di governo.
È bene ricordare che siamo nello stesso passato prossimo della vita italiana in cui nessuno (di governo) e nessuno (nel giornalismo di governo) ha voluto sapere niente della uccisione di Nicola Calipari.
È lo stesso strano periodo della storia italiana in cui per mesi nessuno si è interessato della sorte o del corpo di Baldoni, e ha dedicato sarcasmo e risate alla cattura prima, alla liberazione poi delle due Simone.
Sappiamo tutti che ai coni d’ombra e alle zone oscure della vita italiana, che sono state coltivate con cura, (anche giornalistica, apprendiamo ora) si aggiungono più vasti coni d’ombra e zone oscure della vita internazionale. Lo spaventoso danno del terrorismo è anche questo, avere disattivato e indebolito alcuni punti chiave della vita democratica, che sembrano essere restati sotto le immense macerie delle Torri gemelle, insieme a tante vite umane.
È importante perciò definire quali saranno - in questa brutta storia che ha il difetto di essere vera e di essere in pieno svolgimento in questi giorni, in queste ore, durante il governo dell’Ulivo - i punti di riferimento, le linee di comportamento, l’impegno verso i cittadini.
Primo, è in corso un procedimento giudiziario che non ammette tifoserie ma verso il quale non si devono tollerare screditamenti e calunnie. L’impegno è impedire che la magistratura e i giudici di questa indagine siano vilipesi o attaccati secondo la ormai consolidata prassi Berlusconi-Previti-Dell’Utri.
Secondo, non esistono servizi segreti buoni e servizi segreti cattivi. Esistono i servizi segreti di un Paese civile e democratico che rispondono al Governo, il quale risponde al Parlamento, il quale (almeno la sua nuova maggioranza) rappresenta i cittadini e ad essi rende conto. Tutto ciò che risulterà estraneo a questa sequenza di responsabilità e di regole, dimostrerà di non essere al servizio della Repubblica.
Terzo, i giornalisti hanno il diritto-dovere di svolgere secondo le libertà garantite dalla Costituzione il proprio impegno professionale.
Inevitabilmente alcuni di loro dovranno rendere conto, non ad assembramenti mediatici o a giudizi politici ma alla magistratura, della decisione di servire una causa piuttosto che di dedicarsi al mestiere di informare, decisione resa più grave, se vera, dall’essere occulta e coperta dalla tessera giornalistica.
Insomma niente è personale, niente è corporativo e niente è politico (nel senso partitico) in questa vicenda.
Una parte riguarda il governo e il far luce che ci aspettiamo. Una parte riguarda la magistratura, e il corso libero e intatto delle sue decisioni e delle sue indagini. Una parte riguarda il Parlamento, che non potrà sottrarsi alla richiesta di chiarezza e al dovere di rendiconto. E una parte riguarda i cittadini, che hanno il diritto di aspettarsi risposte di inequivocabile chiarezza e il diritto di credere alle fonti che il sistema democratico mette loro a disposizione. E tutto ciò senza sospensioni o tempi lunghi o anche involontarie.



Frase del giorno: "Sai esiste un grado di nome 90..."
In stereo: Pete Rock f. Pharoahe Monch - Just Do It

mercoledì 19 luglio 2006

Dal Romanticismo all’Informale

In questo periodo non ho voglia di sforzarmi a scrivere. Mi piacere scrivere sul blog se la cosa è naturale sennò preferisco starmene zitto e farmi gli affari miei.
Dopo l'impareggibile Magritte ecco che vi propongo un'altra mostra (giunta ormai agli sgoccioli).

S'intitola "Turner Monet Pollock. Dal Romanticismo all'Informale. Omaggio a Francesco Arcangeli."

Non svelo altro.

Qui il sito.


Frase del giorno: "Periperì!"
In stereo: Raekwon f. Ghost Face Killah & Method Man - Ice Cream

lunedì 10 luglio 2006

René Magritte a Como

Dal 25 marzo al 16 luglio 2006 nelle sale della settecentesca Villa Olmo si terrà la mostra RENÉ MAGRITTE.

Ottanta opere (sessanta dipinti a olio e venti tra disegni, oggetti, fotografie e lettere illustrate) del genio surrealista belga.

Quaranta lavori provengono dai Musées Royaux des Beaux Arts del Belgio, che conservano la collezione pubblica più importante al mondo di opere di Magritte, e che saranno visibili in Italia per l’ultima volta, prima della loro definitiva collocazione nel Museo Magritte di Bruxelles, nell’aprile 2007.

L’impero delle luci», organizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Como in collaborazione con la Fondation Magritte di Bruxelles e i Musées Royaux des Beaux Arts del Belgio.

La rassegna, curata da Michel Draguet, direttore generale dei Musées Royaux des Beaux Arts del Belgio, Maria Lluïsa Borràs, storica dell'arte, e Sergio Gaddi, assessore alla cultura del Comune di Como, raccoglierà sessanta dipinti a olio ed una serie di lettere illustrate, fotografie, oggetti e disegni realizzati dal genio surrealista tra il 1922 e il 1967. Alle quaranta opere del Musées Royaux des Beaux Arts del Belgio, che conservano la collezione pubblica più importante al mondo di opere di Magritte,si aggiunge una straordinaria selezione di tele provenienti da prestigiose collezioni private internazionali.
Secondo Charly Herscovici, Presidente della Fondation René Magritte, la mostra di Villa Olmo rappresenterà “un evento nella storia delle esposizioni surrealiste in Italia”.

Come evidenzia l’Assessore alla Cultura del Comune di Como, Sergio Gaddi, che ha curato personalmente l’evento seguendolo in ogni dettaglio, “Magritte a Como è un ‘progetto culturale integrato’, aperto alla letteratura, alla poesia, al teatro. Negli ultimi 25 anni è stato possibile vedere il maestro del surrealismo in Italia solo due volte.
La grande mostra di Como è il frutto di relazioni strettissime con la comunità scientifica internazionale. La cultura, sulla quale stiamo puntando con decisione, è l’identità stessa del nostro Paese oltre che il motore della nuova economia urbana”.



Fonte: WS&TR


Frase del giorno: "VAI OHHH!!!!!"
In stereo: Scott Storch - Get It All